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GROTTE

anno 20, numero 62 - genn.-aprile 1977

gruppo speleologico piemontese - cai-uget

Galleria Subalpina 30

 

10123 Torino

 

Tel. 011 53.79.83

 

C.C.P. 2/23885

 

SOMMARIO

 

Notizie

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     Notiziario

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     Guido Muratore

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     La parola al presidente

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     Intervento di soccorso all'Omber

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     Incidente al Fighiera

 

 

 

Esplorazioni

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     Fighiera: forzamento del Meins

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           Al Corno Destro

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     Balma di Rio Martino, ... che sorpresa

 

 

 

Tecniche

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     Rilevando il Fighiera

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Attività di campagna

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Il 20° Corso di speleologia

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Pubblicazioni ricevute

 

 

 

Redazione:

Marziano Di Maio

(resp.)

 

Giovanni Badino

 

 

Andrea Gobetti

 

 

 

 

Stampa:

LITOMASTER

 

v. Sant'Antonio da Padova 12

 

 

 

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Notiziario

Assemblea di inizio d'anno del GSP

     Si è tenuta il 14 gennaio, con lo scopo principale di discutere i programmi per il 1977.

     Gli incarichi delle varie sezioni sono stati definiti come segue:

magazzino: Meo Vigna e Lele Marzano

cassa: Claudio De Regibus

Capanna Saracco-Volante: Adalberto Longhetto

biblioteca: Giuliano Villa coadiuvato da Gianna Gianelli

archivio e segreteria: Uccio Garelli coadiuvato da Laura Deker

bollettino: Marziano Di Maio coad. da Giovanni Badino e Andrea Gobetti

pubbliche relazioni: John Toninelli

Operazione Piemonte Sotterraneo: Giuliano Villa e Paolo Arietti

foto: Giuliano Villa e Adalberto Longhetto

rilievi: Meo Vigna

     La quota sociale è stata fissata per tutti i membri del Gruppo in 10.000 lire annue. Con altre 10.000 si potrà fruire della Capanna di Piaggia Bella.

 

Nuovo responsabile del Catasto

     Dal mese di marzo Carlo Clerici, ormai troppo oberato di impegni per poter assolvere l'incarico, ha trovato finalmente un successore disposto ad assumersi la responsabilità del Catasto per le province di Cuneo, Torino, Asti e Alessandria: è il nostro Paolo Arietti, Via Cavour 3, Brusasco (Torino). E' indispensabile, perché il Catasto funzioni, collaborare con Paolo non solo fornendogli i dati sulle grotte nuove e andando a raccogliere quelli mancanti sulle grotte già note, ma anche dandogli una mano nell'ingrato lavoro di tavolino e soprattutto nella schedatura.

 

Spedizione in Nepal e Zanskar

     A metà marzo è partita la spedizione "Zanskar 77"; Andrea Gobetti, Marta, Paolo Oliaro e Marco Perello, ai quali si aggiunge il 10 maggio Giovanni Badino. Gli scopi sono essenzialmente speleologico ed entomologico, ma anche alpinistico e ricognitivo, e campo d'azione sono regioni himalayane del Nepal e del Kashmir (Zanskar).

     Di Maio ha incontrato il 10 maggio a Kathmandu i membri della spedizione (escluso Badino), che godono ottima salute nonostante uno spettacoloso incidente avuto prima di entrare in Nepal, incidente dal quale il land-rover è uscito alquanto malconcio.

     La spedizione si tratterrà sin quasi all'arrivo del monsone in Nepal, dove sta svolgendo le sue ricerche nella valle di Kathmandu. Dopo una prima prospezione generale, è stata localizzata una gola calcarea lungo il Bagmati River, circa 5 km a valle di Katmandu. Con l'aiuto di un'ottima guida indigena, Jilmmy Wagon, è stata esplorata una piccola cavità allargata un po' dall'uomo e poi una vasta grotta-tempio con entrate in parete in cui sono stati ritrovati numerosi reperti archeologici come coltelli di

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pietra e vasetti votivi in ottimo stato. Nella stessa grotta sono state pure raccolte alcune specie di insetti (tra cui catopidi però provvisti sia di ali che di occhi) e anellidi probabilmente troglobi. Nella gola restavano da raggiungere in parete alcune altre entrate promettenti: queste e altre ricerche soprattutto entomologiche costituivano i programmi dei primi giorni di maggio, prima che alla spedizione si aggregasse anche Giovanni Badino e prima che la stessa si spostasse come previsto nella regione di Pokhara, dove esistono fenomeni carsici d'una certa ampiezza.

 

Le principali scoperte del 1976

     Molto proficua è stata anche l'attività del 1976, specie per quanto riguarda l'esplorazione di cavità di grande profondità.

     In URSS è cominciato finalmente un attacco deciso alle cavità che si aprono nei notevoli spessori di calcare del Pamir. Per ora, nell'abisso Kievskaya (Kilsi), gli speleologi di Kiev hanno forzato una strettoia a -700 e sono giunti a -1030.

     Una sorpresa giunge dal Canada, dove si è scoperta la grotta più profonda delle Americhe (sinora) e nello stesso tempo la cavità con il maggior dislivello ascendente del mondo: infatti la grotta contrassegnata con la sigla DC 6 risale fino a +900, e continua su un pozzo ascendente che potrebbe forse portare a +1050 (non lontano dalla superficie).

     In Austria, nel Totes Gebirge, speleologi di vari gruppi provenzali (ACT, Aragnous, Lou Darboun, Ragaie + Courbon) hanno superato i -600 nel Trunkenboldschacht (Empegadure), e toccato i -708 nel Kacherlschacht (Quelli); entrambi gli abissi continuano. La maggior profondità dell'Austria è stata intanto raggiunta da speleologi di Varsavia, che hanno trovato una giunzione tra il Pattenek-Eishöhle e il Berger-Hö hle: -879, con 21 km di sviluppo.

     In Francia, il Gouffre Touya, dato profondo 950 m, è stato ritopografato e leggermente accorciato: -930 m. La giunzione della Grotte de la Diau con la Tanne du Bel Espoir (Alta Savoia) ha dato un complesso profondo 613 m.

     In Spagna è stato ridimensionato l'Avenc de Badalona: -630, e non -800. La Cueva Buchaquera è stata invece portata a -786 (sifone) dal GS Vosgien.

     In Italia le scoperte più rilevanti sono state fatte nelle Apuane. Già all'inizio del 1976 i GS Versiliese e Lucchese con altri avevano esplorato l'abisso Coltelli (Vagli di Sopra) sino a -730 (sifone). Poi sul M. Corchia il GSP con faentini, nizzardi ed altri hanno trovato un interessantissimo campo di esplorazioni nell'abisso Fighiera, cavità molto complessa che conta vari rami scendenti in profondità; il più profondo è per ora a -725 m e continua (v. articoli su questo bollettino). Intanto speleologi del GS Bolognese CAI hanno attaccato rami risalenti del Corchia, con l'intento di congiungere per primi questo abisso con il Fighiera e piratare in tal modo un record italiano di profondità che sembrava dovesse essere di pertinenza dei torinesi e compagni. Il tentativo di congiunzione dei bolognesi per ora non è riuscito, ma con una risalita di 180 m si sono dapprima totalizzati 845 m e ultimamente, a quanto dicono i bologne-

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si, 936 m nuovo limite di profondità per l'Italia e 8° del mondo.

     Notevolissima è stata l'attività speleo-sub, dove si stanno ottenendo risultati sino a qualche anno fa pazzeschi, per merito degli "americani" e dei francesi. Basti dire che in USA è stato esplorato un sifone lungo 1253 me profondo 31 m (Manatee Spring and Sinks ), un altro di 1000 m (Devil's Eye Spring, -30), un terzo di 825 e profondo 58 m (Hornsby Spring), ecc. Nella risorgenza valchiusiana a pozzo del Mystery Sink si è scesi a -115. In Francia non si è da meno. Nella Grotte de la Balme il sifone dove Hasenmayer si era inoltrato per 825 m è stato superato (è lungo 915 m) dai sub del GS de la Tronche, che però dopo 50 metri ne hanno trovato un altro. Nella Risorgenza di Combe-Nègre si è superato il 7° sifone; su 2430 m di sviluppo attuale della grotta, 848 sono sott'acqua, distribuiti appunto in 7 sifoni successivi.

 

Soccorso

     Speleologi del nostro gruppo hanno partecipato alle manovre di soccorso a Franco Vinai, speleologo infortunatosi nell'abisso Omber sopra Brescia, città del cui gruppo speleologico lui fa parte. Il recupero (da -110) ha presentato notevolissime difficoltà per le strettoie di cui è ricco questo buco, peraltro piuttosto facile. La manovra ha avuto pieno successo.

     Due ore prima dell'allarme per questo incidente c'era la riunione del 1°gruppo, durante la quale è stato eletto Badino capogruppo provvisorio (capogruppo fantoccio e portafortuna).

     Altro incidente in Lombardia, a due settimane dal precedente, con esito però mortale: nel noto Bus del Remeron la vittima è stata colpita mortalmente per un sasso, si dice, staccatosi dalla volta (!) mentre lui usciva da solo, a chiamare soccorso per uno dei compagni che era troppo stanco per guadagnare l'esterno con i suoi mezzi (!).

     Mentre il bollettino va in tipografia, giunge notizia dell'incidente a Gianna al Fighiera, del quale si parla più avanti.

 

Una nuova lunga cavità piemontese

     Gli speleologi del GS Imperiese danno notizia sul loro Bollettino n. 7/1976 della congiunzione di due cavità sul Mongioie: il complesso che ne deriva sarebbe lungo 4,5 km e profondo 304 m. Esso per lunghezza salirebbe al 2° posto in Piemonte, dopo Piaggia Bella che passa a 15.500 m dopo il nuovo collegamento avvenuto con Caracas attraverso l'Artiglio Sinistro. Seguono la grotta delle Vene (m 3500 circa), le grotte del Caudano (2938), Rio Martino (circa 2230 dopo l'esplorazione del nuovo ramo), l'Arma del Lupo inf. (2130), Bossea (1984), la Mutera (1545), la Tana del Forno (1509).

 

Norme per visitare il Caudano

     Le visite alle grotte del Caudano sono da ora regolamentate in que-

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sto modo: è necessario fare richiesta a uno dei Gruppi aderenti alla Federazione Speleologica Piemontese (GSAM CAI Cuneo, GSP CAI-UGET, S.C. Saluzzo, S.C.Tanaro, G.S.Biellese CAI), che provvederà a rilasciare un permesso scritto onde ritirare la chiave e che fornirà un accompagnatore.

 

Varie

     Oltre agli allievi dell'ultimo corso, tre speleologi già affermati, sono entrati a far parti del GSP: il fessuromane Giancarlo Arduino di Ormea, l'ubriacone Carlo Cazzola e il pirata tolonese Lucien Berenger, trasferitosi a Tenda a fare il disoccupato.

     Il 24 marzo, nel corso dell'annuale assemblea generale dei soci del CAI-UGET, Adalberto Longhetto (già consigliere delegato) è stato eletto consigliere effettivo della Sezione, e Piergiorgio Doppioni è stato nominato consigliere delegato.

     E' uscito Liberi Cieli n. 11, l'annuario delle attività del CAI-UGET del 1976. Oltre al rendiconto di attività del GSP e alla presentazione della spedizione Zangskar '77 (A. Gobetti), v'è un articolo di Andrea dal titolo "Soccorso nell'abisso Cappa: si salva uno speleologo e se ne perde un altro" (per la verità i redattori dell'annuario hanno ritenuto di dover aggiungere all'ultima considerazione un punto interrogativo.. .). Tra le foto, ne compaiono quattro di grotta, tutte di Giuliano Villa.

     Nuovo numero telefonico di Giuliano Villa a partire dal 14 giugno : 61.99.610.

 

 

guido muratore

     E' recentemente scomparso all'età di 75 anni Guido Muratore, nota figura di alpinista torinese che rimase in piena attività per oltre un trentennio e che aveva anche la passione per la speleologia, in un tempo da precursori in cui i rari speleologi piemontesi operavano in maniera alquanto isolata e frammentaria. Se in occasione delle sue scalate trovava cavità (ma andava anche a cercarle), le esplorava, senza neppure essere dotato di attrezzatura sia pure primitiva, e ne dava descrizione e rilievo. Nel periodo tra le due guerre mondiali non si allontanò molto, nelle sue esplorazioni sotterranee, dalle montagne torinesi, come del resto facevano gran parte degli alpinisti locali, che ancora raggiungevano le valli in bicicletta o in treno. Tra le esplorazioni di questo periodo di cui ha dato notizia su riviste alpinistiche (Rivista Mensile del CAI, Bollettino mensile dell'UGET, Scàndere), si possono segnalare quelle del Pugnetto (intorno al 1925), del Giaset (idem) dove si avventurò nel tratto iniziale (il GSP vi proseguì 37 anni dopo...), delle caverne del Rocciamelone. Ma fu nel dopoguerra che il Muratore, insieme ad altri peraltro meno costanti, contribuì al rilancio della speleologia piemontese con le esplorazioni a Bossea. Dopo limitate puntate individuali, scriveva nel 1947 sulla Rivista Mens. del CAI un articolo su Bossea che terminava con questo appello: "l'autore spera di poter trovare qualche alpinista di buona volontà allo scopo di poter portare a buon fine l'esplorazione di que-

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sta cavità che nel suo genere è una delle più interessanti d'Europa". L'anno seguente finalmente venne organizzata la 4^ "spedizione" a Bossea della storia (la 3^ risaliva al 1874, la 2^ al 1865 e la 1^ al 1850...), guidata da Giuseppe Loser che sarebbe deceduto poco tempo dopo e comprendente tra gli altri anche il Muratore e Sandro Comino di Mondovì suo coetaneo (morto nel 1971, v. Boll. n. 46). Questa punta si arrestò al lago Loser. Pochi mesi dopo, il 29-30 marzo 1949, fu il Muratore a guidare la 5^ esplorazione, che superò il lago Loser e si arrestò ovviamente al lago-sifone percorrendo poi anche le gallerie del Paradiso e altri rami superiori. Il lago-sifone venne quella volta battezzato Lago della rinuncia, e in seguito fu chiamato come oggi Lago Muratore.

 

M.D.

 

 

la parola al presidente

     Le operazioni al Fighiera proseguono con intensità, il primato non arriva, in compenso il sistema sta assumendo dimensioni e caratteristiche del più alto interesse.

     Un grazie di cuore ai Faentini, il cui prezioso impegno sta a dimostrare il vantaggio di una aperta collaborazione rispetto allo spirito di competizione, a mio avviso male inteso, che anima i tecnicamente validi ma poco lungimiranti arrampicatori speleologici dei rami alti del Corchia.

     Per fortuna le grotte se ne infischiano per cui, se da una parte il Fighiera non mostra alcuna seria intenzione di sbucare nel Corchia, il Corchia non sembra dia maggiori speranze di volersi collegare al Fighiera. In ogni caso spero che questa zuffa termini al più presto.

     Parallelamente mi auguro che qualche speleologo fiorentino accetti il nostro invito di collaborazione e venga a vedere quanta roba c'è dietro quella famosa ultima pietra che dovrebbe così cessare di fungere da pietra dello scandalo.

     Altro non saprei cosa dire, per il momento.

 

Piergiorgio Doppioni

 

 

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intervento di soccorso nella grotta

"Omber en banda al bus del zel"

     Domenica 6 marzo '77, durante la risalita da una esplorazione effettuata, tra le quote -200 e -300 nella grotta "Omber" presso Serle (Brescia) da alcuni componenti del Gruppo Grotte Brescia e dello Speleo Club Tanaro, Franco Vinai, socio del Gruppo Bresciano, rimane vittima di un incidente.

     Franco, buon speleologo con un'ottima conoscenza della grotta e di fisico molto robusto essendo pure giocatore di rugby della squadra bresciana, risale il pozzo di 25 m a quota -120 m. Il pozzo presenta alla sommità un'uscita difficile, con un cunicolo molto stretto ed a chiocciola; qui bisogna abbandonare le scale rimanendo però in sicura sulla corda. Franco non ricorda più cosa sia avvenuto, la sua memoria si arresta ad un'ora prima dell'incidente e riprende da quando è arrivato in ospedale. Alla base del pozzo da 25 si trova Gianni Guidi dello Speleo Club Tanaro che sente Franco, ormai giunto in cima alla scala, urlare che la jumar, usata come autosicura, non si blocca, lo vede cadere scivolando lungo la corda e con estrema prontezza di spirito afferra il capo di esse dando strattoni violenti nel tentativo di obbligare la jumar a bloccare. Ci riesce quando oramai Franco è a cinque metri da terra, ma il moschettone che la tiene in vita si apre ed il Vinai arriva a terra a testa prima in caduta libera.

     Sono le 15,15 di domenica, le squadre erano entrate in grotta nel pomeriggio del sabato. Il ferito è semicosciente, bestemmia e si lamenta. Alcuni compagni escono a chiedere soccorso, altri gli rimangono vicino senza spostarlo nel timore di complicazioni. Alle 17 Gian Carlo Arduino trova telefonicamente ad Albiolo Follis, Baldracco, Doppioni e Badino reduci da una riunione del soccorso svoltasi a Milano, da qui parte anche la II squadra con il caposquadra Adriano Vanin. Intanto a Brescia si reperisce un medico, il dott. Ronzon, disposto a scendere anche se non speleologo; più tardi viene poi raggiunto da Maria Grazia Follis, entrambi resteranno ad assistere il ferito fino all'arrivo di Giuliano Villa da Torino. Le prime operazioni di soccorso sono caotiche: non si riescono a valutare le effettive difficoltà della grotta e la gravità del ferito, all'esterno la curiosità morbosa della gente è opprimente. Poi l'organizzazione: con una ruspa viene aperta una pista, un compressore è portato vicino all'ingresso, viene calata una manichetta ed un martello demolitore inizia ad allargare i passaggi con l'aiuto di quattro cavatori della zona, un altro martello elettrico è già in funzione per opera di Baldracco e Doppioni della I squadra e così pure gli scalpelli ed i muscoli dei soccorritori del I gruppo. Il ferito è grave, Villa riscontra la frattura delle vertebre cervicali e varie altre fratture, ma ritiene di poter escludere emorragie interne. Un cavo telefonico viene steso dall'ingresso al posto dell'incidente, all'esterno un contatto radio collega la grotta al centro raccolta soccorsi. L'organizzazione esterna viene affidata a Doppioni della I squadra, mentre Baldracco, Avanzini e Badino si prendono la responsabilità di scendere controllando gli armi e di accompagnare fuori il ferito. Franco viene posto su una barella con le stecche spezzate che gli

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immobilizza il collo, ma lascia libere le gambe per poter meglio manovrare nei cunicoli. Il martedì mattina inizia così il recupero. Inizia la risalita. La famosa chiocciola, malgrado il lavoro fatto, richiede ben due ore per essere superata, il peggio è passato... L'ultima parte della grotta può essere percorsa con la barella rigida, il ferito viene trasbordato. Alle 19,30 l'uscita! Fuori c'è gran folla: speleologi stanchi ed infangati, giornalisti, curiosi, carabinieri che invano cercano di mantenere un po' d'ordine; tra essi il padre di Franco, comportamento ammirevole in questi tre giorni di angoscia, e il fratello Mario possono tirare un sospiro: ancora una volta il miracolo si è compiuto.

Piergiorgio Baldracco

 

(Viene qui di seguito riportata l'analisi tecnica dell'incidente, eseguita da Adriano Vanin Capo della II Sq. I Gruppo).

     L'infortunato portava la jumar fissata in basso con doppio giro di fettuccia al moschettone principale dell'imbrago e legata in alto con un cordino da 8 mm che scendeva dietro le spalle passando poi negli anellini posteriori dell'imbragatura.

     Dopo l'incidente si è riscontrato quanto segue:

1) sulla scala è stato trovato agganciato un moschettone, qualche metro sotto il punto dove i ragazzi del gruppo dell'infortunato avevano l'abitudine di sostare, senza moschettonarsi, prima di affrontare il cunicolo di uscita;

2) l'imbrago di Vinai non presenta segni di cedimento in nessun punto, nemmeno su anellini secondari;

3) il cordino da 8 cui era legata la jumar non è stato trovato;

4) la jumar era profondamente incastrata sulla corda, ma intatta;

5) il moschettone dell'imbrago (un Bonatti a D in lega leggera, con ghiera, dato per 2500 Kg di tenuta in senso longitudinale), si presenta come segue: forma generale inalterata; barra di chiusura aperta a 30° in fuori, con segni di forzatura sulla barretta trasversale di aggancio, peraltro intatta; dente di aggancio della parte fissa con evidenti segni di forzatura;

6) l'infortunato ha una profonda incisione che corre lungo il dito indice aprendosi poi a V.

     Sembra pertanto di poter supporre la seguente dinamica :

1) Vinai si arresta sulla scala perché gli si è mollato il cordino che tiene tesa in alto la jumar (se questo non fosse avvenuto, al momento dell'impatto sul bloccante si sarebbe spezzato l'anellino dell'imbrago, oppure egli sarebbe rimasto impiccato).

2) Vinai si appoggia sulla jumar e questa non blocca. Non è chiaro se il moschettone trovato poi sulla scala rappresenti un tentativo di moschettonarsi precedente o successivo allo scivolamento della jumar; forse il moschettone passava nel cordino che si era snodato; forse invece è stato addirittura dimenticato in seguito da altri; certamente non è stato la-

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sciato lì prima.

3) Comunque Vinai tenta disperatamente di riprendere la scala, rimettendoci quasi un dito, senza riuscirci, e precipita lungo la corda.

4) Durante la caduta, la jumar, pur non bloccando, riduce certamente la velocità di discesa; di quanto non è facile dirsi.

5) Al momento dell'arresto sulla Jumar, il corpo del Vinai imprime al moschettone una torsione tale da aprire prima la barra verso il basso, quindi da strapparla verso l'alto. La ghiera del moschettone era certamente disinserita e il moschettone era messo di traverso con la jumar sulla barra di chiusura; sembra però che la barra fosse chiusa (altrimenti l'aggancio di questa non risulterebbe così sforzato); ciò eliminerebbe anche l'ipotesi che il moschettone trovato sulla scala si sia sfilato dal moschettone d'imbrago del Vinai, che lo avrebbe dimenticato aperto.

6) L'arresto a pochi metri dal suolo, pur portando l'infortunato ad atterrare testa in avanti, ha certamente ridotto in modo considerevole la velocità dell'impatto.

      Valgono quindi le seguenti considerazioni:

1) La causa principale dell'incidente è la mancata presa della jumar sulla corda. O i denti dell'attrezzo erano incredibilmente impastati di fango o (come sembra più probabile) vi era del fango fra il corpo della jumar e il blocchetto mobile, tale da impedire a questo di chiudersi. (Sulla stessa corda sono salite altre persone, sia prima che dopo, senza inconvenienti: si può escludere che fosse la corda ad essere infangata).

     Il mancato controllo del bloccante prima di cominciare la risalita è quindi la più grossa leggerezza commessa dall'infortunato.

     Si noti, per inciso, che l'incidente non sarebbe mai avvenuto se il pozzo fosse stato risalito su sola corda: infatti Vinai non sarebbe nemmeno riuscito a staccarsi da terra.

2) Non si può peraltro trascurare il contributo dato, se non all'incidente, almeno alla gravità delle sue conseguenze, dal fatto di aver impiegato in vita un moschettone non onmidirezionale messo di traverso, col carico sulla barra di chiusura e soprattutto con la ghiera aperta. Se la ghiera fosse stata chiusa, probabilmente il moschettone avrebbe tenuto e si sarebbe rotta la jumar, però assorbendo una energia molto maggiore.

3) La rotazione che ha portato Franco Vinai a cadere a capo all'ingiù per gli ultimi metri è stata senz'altro determinata dal mancato intervento del cordino di tenuta superiore del bloccante, il cui aggancio inferiore risultava invece più basso del baricentro o quasi, come è normale per la risalita su corda. Buona norma di sicurezza sarebbe quindi assicurare superiormente il bloccante pettorale ad un vero imbrago alto, piuttosto che ad un cordino legato in qualche modo: anche per evitare di impiccarsi, nel caso ceda qualcosa della parte inferiore dell'imbragatura.

Adriano Vanin

 

 

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incidente al fighiera

     C'è da registrare purtroppo un nuovo incidente in grotta, che avrebbe potuto avere conseguenze molto gravi.

     Sabato 28 maggio durante la discesa nel Fighiera della squadra fotografica composta da quattro speleologi, Gianna allieva dell'ultimo corso del GSP, alle prime esperienze con la tecnica delle corde, lasciava la presa della corda che passava nel discensore dopo aver superato un frazionamento su un pozzetto di 8 metri, cadendo da un'altezza di circa 6 metri, frenata solo in minima parte dal discensore. Si era a metà circa del ramo delle Ludrie che si diparte dalla sommità del pozzo da 40 con una serie di strettoie in frana e pozzetti che non superano gli 8 metri.

     Viste le condizioni generali della ragazza, che permanevano buone nonostante i violenti dolori alla spalla sinistra e al torace, e dopo un sommario esame che mi ha permesso di escludere fratture della colonna o del bacino, decidevo dopo una sosta di mezz'ora di tentare la risalita senza attendere il ritorno delle squadre di punta che sarebbero passate di lì (erano solo le 20,30 di sabato).

     Per il recupero dai pozzi abbiamo utilizzato il sistema del "contrappeso" servendoci di una provvidenziale carrucola e dei materiali da armo dei pozzi. Mentre uno di noi issava l'infortunata facendo da contrappeso attaccato all'altro estremo della corda, un secondo la accompagnava salendo con una scaletta (che mi ero portato appresso) e il terzo faceva sicura dall'alto. In circa 6 ore arrivavamo così alla sommità del p. 40 dove iniziano i grandi pozzi. A questo punto ci raggiungevano le squadre dei nostri e dei Faentini.

     Le condizioni dell'infortunata permanevano discrete anche se il braccio sinistro era praticamente immobilizzato ed era presente un forte dolore all'emicostato di sinistra. L'uscita avveniva alle 12,30 di domenica, a 16 ore dall'incidente.

     Il referto del radiologo parla di frattura della IV V VI VII costa di sinistra e frattura composta del corpo della scapola di sinistra.

Alcune osservazioni:

1) è veramente indispensabile che ogni squadra sia fornita di almeno una carrucola per utilizzare la tecnica del recupero per contrappeso.

2) Sarebbe utile fare esercitazioni di recupero in tre quattro persone, perché questa è l'evenienza che capita più sovente, soprattutto se il ferito può collaborare.

3) Una scatoletta con 4 fiale per un soccorso immediato non dovrebbe mai mancare in fondo a un sacco.

 

 

Giuliano Villa

 

 

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esplorazioni al "fighiera"

forzamento del meins

     Domenica dopo l' esplorazione delle Ludrie, lieti adesso di poter uscire in caso di incidenti nelle parti basse del Fighiera, siam di nuovo sotto Lucien, Dani, Bebe, Doppioni e chi scrive per cercare di risalire nel Meins, il grande pozzo in fondo alla Galleria Tortuosa.

     Arrivato al "campo base" con Dani, inganno l'attesa degli altri scoprendo ed esplorando una galleria superiore al Corno Destro, galleria anche lei freatica e anche lei che non finisce in una biforcazione che da una parte dà su un pozzo e dall'altro su uno splendido camino. Torniamo indietro, ci congiungiamo agli altri e andiamo giù al Meins: e lì mentre gli altri scendono, io risalgo una serie di camini in aspirazione trovati da Duppia ("mi sembra che si passi", mi aveva detto) che partono cinque metri prima del bordo del pozzo: li risalgo in strettoie da incubo, scavando da sotto in frane mobili da cui cade acqua per arrivare, trenta metri più sopra, sotto un camino troppo duro per farlo senza corda e da soli. Bello, però.

     Poi scendo anch'io nell'enorme salone del Meins , pozzo da 25 metri lungo 40 largo 15, alto una cinquantina, e aspirante o soffiante, a seconda di come gli gira (quando scendo io aspira) una quindicina di metri cubi d'aria al secondo. Pas mal!     Doppioni assicurato da Lucien ha già attaccato la risalita di un camino che, all'estremità inferiore del salone, ci dovrebbe portare su una grande cengia esattamente opposta a dove si scende. Un paio di chiodi da fessura lo mettono al centro del camino: poi piazza uno spit, ci sistema il ragno, si gira verso di noi (è vecchio ma non stupido) e chiede uno scemo che dia il cambio. Vado io. E ci salgo anche sopra a quel ragno "made in Baldracco" e ci pianto anche uno spit e ci sistemo sopra il ragno e ci salgo e mi guardo attorno. E volo. Mentre scendo, libero da vincoli, nel campo gravitazionale, penso che è stato lo spit; invece no, mi dice la corda che si tende e sulla quale rimango, è proprio il ragno che si è sbelinato. Risalgo sullo spit, ne netto un altro (su staffe, questa volta) e scendo. Bebe riesce da quello lì a salire altri tre metri con chiodi a fessura: ancora uno spit, poi sale Dani che esce in libera e con uno spit di sicura esce sulla cengia. la percorre, si infila in una galleria e ci segnala che soffia: ahi ahi pensiamo, non va come circolazione d'aria, anche lei butta aria nel salone. Sale Bebe, poi io e sento un grido di esultanza di Dani: la gallerietta, piccola, diventa una frattura enorme; Dani ha già armato un saltino di cinque metri e esulta ancora là davanti. Scendo e lo trovo intento a piantare uno spit (ha una efficienza veramente diabolica) su un pozzo di una cinquantina di metri immenso. Scende sulla destra, contro lamoni instabili, e spitta di nuovo dopo aver fatto scaricare un'enorme quantità di pietre. Scende una ventina di metri, piazza ancora uno spit ed è al fondo. Altra esultanza. Salto giù anch'io, il pozzo è grosso davvero, uno dei più grandi che abbia mai visto; là sotto la luce di Dani ne illumina un altro, dall'imbocco enor-

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me. Poco dopo sono con lui su una sella che separa un pozzo di 45 metri da uno di una dozzina. Naturalmente ci buttiamo nel 45 ancora col Dani in testa. Ma il fondo (circa -480) dove arriviamo tutti appare stoppo. Bebe scende un pozzetto scemo che infatti chiude. Dani e Lucien si mettono a scavare dal piscio d'acqua riuscendo ad aprire un varco e sbucando su un salto, grosso, di una diecina di metri che, ahimè, non tira. Ma c'è una grande finestra dalla quale cade un casino d'aria; ci sembra la via buona ma sarà per dopo. In alto intanto son arrivati Baldrake e compagni dopo aver esplorato altri rami alle Ludrie. Risaliamo il 45 e, con Dani e Lucien, scendo il 12: che naturalmente dà su un 25. Tocca a Lucien che lo scende (non tira aria) e scende anche, fino alla fine della corda, un pezzo del 55 che c'è sotto. Ci pare abbastanza e saliamo. Lucien, fanalino di coda, arrivato all'ultimo frazionamento prima dell'uscita del 50 muove pietre con la corda e ne ferma una con la schiena: il pozzo è da riarmare, decidiamo, ma è per la prossima volta.

     Usciamo. E ci accorgiamo che il Meins adesso soffia: eh già, l'inversione notturna. Tutto a posto per le correnti d'aria.

     Rientriamo 20 giorni dopo, con Giancarlo Arduino, Rodolfo Farolfi di Faenza e di nuovo Dani, Lucien ed io. Baldracco ed un altro francese, che erano con noi, sono stati costretti a risalire. Lucien inizia il riarmo raggiungendo con due eleganti spit il terrazzo accanto bombardato dall'acqua e per questo, speriamo, non dalle pietre. Piazza sotto l'acqua un buon spit e scende il pozzo che da lì non prende più la sella ma cade direttamente sopra il 25. La corda tocca un po' e decido di frazionare, quando vedo un blocco che Lucien non ha fatto cadere. Cerco di spostarlo con Dani facendo cadere pietrine che, logico, centrano la mano del pirata tolonese 65 metri più in basso: e non ha modo di ripararsi. Risale. Per di più il pozzo è bagnato, tentiamo di riarmarlo. Dani fa una risalita di quattro metri che lo porta in una gallerietta che va all'estremità sinistra del pozzo. Scende ma non trova, nel marciume delle pareti, un punto dove frazionare: gli dei pretendono anche, subito dopo, che la cinghia della sua musette spit si spacchi e la faccia scendere al fondo. Deve rinunciare. Torno dallo spit di Lucien, mi ci appendo e ne pianto un altro un metro a sinistra; per farlo mi inzuppo completamente, ma completamente davvero. Ma il pozzo è armato e lo scendo, pazzo di freddo; con la stessa scendo il 25 subito raggiunto da Dani, mentre Lucien fraziona subito sopra di noi. Lì il pozzo si biforca: da una parte il 55, dall'altra un saltino semiostruito: e mentre Dani scende il primo, io apro il secondo e scopro che va al fondo del 45 dell'altra volta, quello dalla parte opposta della sella (ho l'impressione che, chi ha seguito questi articoli, si sia fatto l'idea che la grotta è complessa: non ha poi tutti i torti).

     Anche Lucien va dietro a Dani mentre lì arrivano anche Giancarlo e Farolfi. Scendo anch'io: tanto per cambiare è enorme: due bei frazionamenti e un bel nodo. Al fondo, i tolonesi son già alla base del successivo 30, dove salto anch'io: inizia una galleria meandrosa percorsa da un ruscello di due o tre litri al secondo; non tira aria. Un saltino da 5 che chiede una corda, poi ancora discesa, poi si fa più ripido e negli ultimi 15 metri chiede di nuovo corda: gliela diamo e scendiamo. E' lì che

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toppa, irrimediabilmente, a circa -630. Risaliamo disarmando e congiungendoci a Farolfi e Giancarlo uno alla base del 55 e l'altro del 30. Saliamo fino sotto il 25 e scendiamo l'altro pozzetto, quello che un paio d 'ore prima avevo aperto (undici metri) per tentare la risalita della finestra. Ci impieghiamo poco ad accorgerci che è impossibile: il piantaspit si pianta nella "roccia" fino a metà. Decidiamo di risalire per tentare dall'alto. Saliamo tutto fino alla sella. Dani si sposta più in là che può, spitta, scende un pezzo e, tentando di metterne un altro, spacca il piantaspit.Ma dice di esser dritto sopra la finestra. Fine. Usciamo. All'esterno due eccellenti notizie: le altre due squadre non son state con le mani in mano: lo Gnomo (vedi bollettino precedente) è a -580 su un pozzo da 35 e il Corno Destro a -380 su un 15.

     Sei giorni dopo sono di nuovo là sotto, strisciamo per la venticinquesima volta in quel buco fatto per l'acqua, non per me. I tre amici perugini che mi accompagnano mi dicono che non è fatto neanche per loro: siamo cinque con Farolfi, un altro frequentatore abituale del sistema. Passiamo il nostro paio d'ore a metter le mani nei soli fedeli appigli, le solite corde nei soli discensori fino a che arriviamo (dalle Ludrie per far fare ai perugini un giro più completo possibile del sistema) al Meins. L'altra volta, uscendo, per diminuire la permanenza sull'arcinoto, coi due "pirates" avevamo corso: un'ora e mezza dal campo base a -250 fino al cancello di accesso alle cave, dove avevam lasciato le macchine. Che barba questa prima parte, ormai ricca di aneddoti in ogni punto: i venti, il pozzo del volo, il "quaranta" reso tristemente famoso da uno spit che chi scrive aveva piantato con pretese estetiche ottenendo un considerevole filtro. Poi il pozzo dei fessi, la traversata degli incoscienti, il "Meandro" (altro nome da pronunciare a bassa voce e con una luce folle nello sguardo) progettato per rendere mortali le stupidaggini che si facevano dopo averlo passato, dato che è intransitabile ad una barella. E la galleria distinta in corno destro e sinistro per un motivo che non posso scrivere qui ma che potete chiedere a Doppioni (che serva, che sono).

     Ma torniamo a noi. Anzi a me mentre fradicio per la discesa nel 65 picchio un topofil che per la settantesima volta ha scarrucolato mentre a lui affidavo la misura del pozzo, scendendo con precauzione, e lento, sotto il getto d'acqua. Ancora adesso non sono sicuro che il 65 sia davvero tale. Mi raggiunge Farolfi e insieme saliamo sulla sella: mentre mi preparo a scendere per prendere la finestra da dove siamo noi, casca un buon sasso che centra Paolo, il perugino che era sceso dopo di noi, nel riparo dove lui si proteggeva dalle pietre del 65: e gli fa male. Mentre risale faticosamente, inizio a scendere nel 45 su una corda da quaranta e con una da trenta appesa sotto ("in caso ce ne fosse bisogno" mi aveva detto una vocina) mi tengo su una placca, disperatamente a destra per entrare di sicuro nella finestra, a rischio, se mollo, di fare un pendolo che mi ricorderei per molto. Guadagno ancora quattro o cinque metri, rispetto a dove era Dani, verso la finestra e scendo gli ultimi trenta metri: e naturalmente c'era un errore. La finestra mi scorre cinque metri a destra mentre io maledico Dani e il suo errore da dieci metri in tutte le lingue che conosco: poi devo anche aggiungere l'altra corda (brava vocina) per arrivare al fondo. Ma non son deluso perché ho visto che la finestra è

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una scemenza: percorsa dall'acqua com'è, è un'eccellente iniettrice d'aria e basta. Risalgo dall'altra parte mentre Farolfi disarma da sopra. Risaliamo perché Paolo non si è rimesso, sale ma gli fa male la spalla. Saliamo tutti al campo base dove lo lasciamo un po' a riposare con l'altro perugino, mentre Checco, Farolfi ed io (che mi sono messo in calzamaglia per asciugare) giriamo il corno destro per illustrare al capobastone di Perugia il sistema. Il Visconte mi prende per mano e mi porta giù all'OM, ai rami dei castelli di sabbia, dal pozzo dove Argnani sopra e Barberik sotto, l'anno prima avevano visto l'uno le luci dell'altro: e l'ultimo pozzo delle Ludrie era quello lì. Per la proprietà transitiva dell'esser pozzi dunque, il pozzo dai castelli di sabbia doveva essere l'ultima delle Ludrie. Scendo coi due amici sperando che ci sia qualcuno impegnato nelle Ludrie, cosa che difatti è: nelle persone di Giuliano e Antonio che fanno foto, così vedo che è facile scendere in libera per sei o sette metri ed entrare nelle Ludrie. Pas mal. Finalmente usciamo.

     Questa è la mia ultima discesa in questo buco da cacciatori prima dell'India. L'indomani rilevo la cresta dalla cava fino a 200 metri oltre l'ingresso del Fighiera, fino a metter nel mirino quindi, e finalmente su una pianta, l'ingresso del Corchia, mentre Baldracco e compagnia trovano qualche altro abisso su questa battuta montagna. Ma è un'altra storia, così com'è un'altra storia un fiume a -700; ve la racconterà qualcun altro.

 

Giovanni Badino

 

 

al corno destro

Le esplorazioni del 16-17 aprile

     Siamo di nuovo in viaggio su quella che ormai molti di noi considerano la loro seconda casa: il land-rover di Giorgio. Non esiste nessun altro autoveicolo che sia in grado di trasformarsi in pochi secondi da mezzo di trasporto in sala da pranzo o in camera da letto o ancora meglio in saletta per riunioni o lettura... E' proprio quello che ci vuole per trasferire settimanalmente dal Piemonte un gruppo di speleologi senza fargli pesare troppo il tragitto, evitando così, con l'andare dei viaggi, l'accumularsi di tensioni che certamente sfogheremmo verso qualche viadotto; casello autostradale. L'unica persona sottoposta allo stress del viaggio è ovviamente l'autista, ma sembra che Giorgio consideri ormai la cosa come una missione da compiere affidatagli dal Visconte. E' a lui che spetta il compito di guidarci alle esplorazioni del sottoterra toscano. E veniamo quindi al Fighiera.

     Il 16 aprile sono concentrati all'ingresso dell'abisso un misto di speleologi faentini, francesi e torinesi. Tre sono le punte che opereranno in profondità: una alle vie del Meins (-680), un'altra allo Gnomo (i faentini si fermeranno su un pozzo di 20 a -610 m) e la nostra che esplorerà la via del Corno destro. Questo ramo non è mai stato preso in grossa considerazione. Erano state esplorate gallerie orizzontali per circa mezzo chilometro e visti alcuni pozzetti promettenti.

     Appena giunti in zona operativa abbiamo subito una sorpresa. Sulla

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destra della galleria principale, dietro un enorme masso, troviamo una piccola galleria che sbuca con diverse finestre su un magnifico pozzo di 25 m. La via dà subito l'impressione di essere buona: una discreta corrente d'aria percorre i vari condottini fino al salto. Carlo, Alex e Paolo di Faenza iniziano a piantar spit: scendono il 25 e incontrano dopo uno scivolo di 15 m una serie di pozzi che esplorano fino a -350, fermandosi su un salto da 15 m per esaurimento del materiale. Con un ragazzo del gruppo versiliese, Giovanni, continuo l'esplorazione lungo la galleria principale. Scendiamo in arrampicata in un grosso salone ed esploriamo un ramo orizzontale interrotto qua e là da ciclopiche frane. Dopo circa 150 metri sbuchiamo in un altro salone. Il pavimento è ricoperto da enormi massi: sulla destra si apre un pozzo di circa 80 m e sulla sinistra un salto di 15 m. Non abbiamo materiale e quindi rinunciamo alla discesa. Rileviamo questa nuova via ed altre gallerie fino a quando incontriamo la squadra di Carlo che torna dall'esplorazione dei -350. Visto e considerato che abbiamo ancora tempo (sono solo le 2 del mattino) decidiamo di continuare l'esplorazione del ramo dei conglomerati, galleria secondaria che corre parallelamente al ramo principale del Corno destro. Questa zona era già stata vista da me con Dario e Righi di Faenza fino ad un saltino di 10 m.

     Dopo circa 30 minuti siamo già in esplorazione. Superato il pozzetto, si incontra sulla destra un grosso salto che dovrebbe comunicare con il pozzo da 80 dell'estremità del Corno destro. Davanti a noi inizia una grossa galleria che percorriamo per almeno 100 metri, in un susseguirsi di tratti orizzontali intervallati a piccoli saltini che si superano in arrampicata: è inutile scriverlo, anche questa via continua. Si è fatto tardi, riprendiamo la via del ritorno rilevando. Al campo base incontriamo Badino, Martinez e Lucien, sono bagnati fradici e ci lasciano volentieri il loro posto sotto il telone di nylon. La tavola fredda non ci offre niente di buono e decidiamo di terminare il pranzo davanti alla tavola imbandita della Mamma a Levigliani: usciamo.

Meo Vigna

 

Le esplorazioni del 24-25 aprile

     Alle 11 di domenica 24 aprile entriamo nel Fighiera per continuare le esplorazioni del Corno destro oltre il punto raggiunto la domenica precedente da Meo Vigna e compagni: siamo Giovanni Orsetti e Roberto di Pietrasanta, 2 perugini, Lele Marzano, Roberto Parri e il sottoscritto con 6 sacchi di materiale. La discesa procede assai lenta, causa soprattutto lo scarso allenamento di alcuni componenti la squadra, due dei quali decidono di uscire giunti all'inizio del "Meandro". Dal campo base proseguiamo, dopo una breve sosta, e ci inoltriamo nel Corno Destro.

     Già nella traversata ci si bagna abbastanza e così pure nel pozzo di 25 metri che armiamo e scendiamo dopo aver percorso una lunga galleria. Scendiamo tutti alla base di questo e quando penetriamo in uno stretto cunicoletto comprendiamo di aver sbagliato strada; infatti qualcuno risale il 25 di alcuni metri e partendo da un largo ripiano trova la via.

     Giovanni ed io però, prima di raggiungere gli altri, decidiamo di proseguire nell'esplorazione del cunicoletto. Scendiamo così un pozzetto di 6 o 7 metri incredibilmente franoso e alla base di questo penetriamo

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in una galleria in salita con forte stillicidio, portandoci così sull'orlo di un pozzo di grosse dimensioni, che valutiamo essere profondo una cinquantina di metri. Visto comunque che lo scopo della nostra discesa era di continuare l'esplorazione interrotta da Meo e compagni e che per scendere questo pozzo si sarebbe dovuto far franare un metro cubo di detriti, decidiamo di rimandare il tutto ad altra data e di ritornare presso i nostri amici (un altro dei quali pensa bene di tornare all'esterno perché affaticato). Noi invece, per farla breve, armati e scesi i rimanenti pozzi di 10 e 35 m (sul quale dobbiamo frazionare in tre punti), atterriamo nel salone da cui inizierò l'esplorazione. Utilizzando la corda che avanza del "35" ci caliamo in due franosi saltini di cinque o sei metri ciascuno che ci conducono in una saletta ingombra di massi di crollo, e dove giungono anche degli altri piccoli pozzi che avevamo notato nel salone.

     I due "Roberti" si fermano qui, mentre Giovanni ed io proseguiamo superando un passaggio un po' stretto e una breve risalita. Un'altra verticale ci sbarra la via, dal cui fondo, con nostra immaginabile gioia, sale un forte rumore d'acqua corrente! Galvanizzati dall'entusiasmo piantiamo uno spit ed effettuiamo un rimando di corda ad un grosso spuntone, dopodiché inizio la discesa. Mi calo per circa 30 metri fermandomi in un alto meandro alla sommità di un ulteriore salto. Mentre Giovanni mi raggiunge, frazionando a metà pozzo, esploro la sezione a monte del meandro che, dopo una cinquantina di metri, si arresta alla base di un gran pozzo ascendente a sezione circolare. Ritorno quindi sui miei passi e, attrezzato il nuovo salto, mi appresto alla discesa, seguito subito da Giovanni. Dopo 6 metri arriviamo così sul torrente, mentre la galleria non accenna ad arrestarsi.

     Ancora un saltino di pochi metri e siamo in una saletta di dimensioni abbastanza rilevanti, nella quale piove da tutte le parti. L'acqua si infila in una frana e noi con essa, ma non possiamo proseguire per molto, causa l'esigua dimensione dei passaggi, e quindi delusi torniamo alla sala. Da qui, però, con un'arrampicata raggiungiamo un cunicolo, mostruosamente franoso, ove ogni piccolo movimento provoca cedimenti (uno colpisce Giovanni ad un piede). Leggeri come libellule ci togliamo dal caos, per addentrarci così in un'altra, ma non meno pericolosa galleria a forra, le cui pareti sono di una roccia così marcia (scisti!) che si sbriciola solo a guardarla, e il cui fondo è percorso da un discreto torrentello. Guadagnamo però discretamente profondità, grazie a numerose cascatelle da superare in arrampicata; calcoliamo di essere a circa -500 metri quando l'acqua si infila in una stretta fessura: al di là si intravvede uno slargo, ma bisogna martellare parecchio per passare. Visto che ormai è molto tardi, decidiamo di risalire, non senza aver esplorato una breve diramazione fossile che finisce interrata dopo 20 metri.

     Nella sala all'inizio della forra notiamo un'interessante galleria, da raggiungere con un'arrampicata sotto forte stillicidio, e facciamo di questa un obiettivo per la prossima esplorazione. Viste le grandi perdite di tempo e i vari contrattempi, usciamo verso le 17 di lunedì 25 aprile.

Danilo Coral

 

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Le esplorazioni del 14-15 maggio

     Torniamo all'assalto, ma molto più agguerriti, sabato 14 maggio; compongono la squadra Giovanni Orsetti e Ivano di Pietrasanta, Franco Milazzo del GSF e il sottoscritto. Scendiamo molto rapidamente decidendo così, per accorciare ulteriormente, di passare per il ramo delle Ludrie, ma qui uno sbaglio di direzione ci fa perdere un'ora preziosa. Comunque abbastanza in fretta giungiamo nella saletta d'inizio della forra che porta a -500. Prima di andare a martellare la strettoia finale ci sembra un'idea buona (si rivelerà ottima) di dare un'occhiata alla galleria che avevamo notato in alto l'ultima volta.

     Sale Ivano, bagnandosi un po', fissa una corda per gli altri e con gioia ci comunica che la galleria continua. Lo raggiungiamo rapidamente penetrando così in un cañon meraviglioso, altissimo e di roccia compatta, percorso da un torrentello. Scendiamo cantando a squarciagola, superando diverse cascatelle. Siamo già oltre la fessura che avremmo dovuto martellare, quando ci prende un attimo di smarrimento: l'acqua si infila in un meandro troppo stretto per noi! Ma subito troviamo la chiave: risalendo un po', possiamo proseguire per un largo passaggio fossile! Avanzo ancora e mi trovo alla sommità di un pozzo ove l'acqua si getta con fragore: il morale è alle stelle.

     Due spit e... via! Scendiamo Giovanni ed io, toccando il fondo dopo 20 metri. Passaggi stretti, ma ormai niente può fermarci o... quasi niente (leggete più avanti); mentre il torrente scorre molto più in basso, noi percorriamo un cunicolo fossile meravigliosamente concrezionato e asciutto. Procediamo in pace e tranquillità quando davanti a noi... IL VUOTO! Le nostre luci non riescono ad illuminare le pareti in basso e la pietra rimane per aria circa 5 secondi prima di toccare terra, producendo un incredibile rimbombo! Dal fondo sale il rumore di una cascata.

     Ci guardiamo senza parlare, ma riusciamo lo stesso a dirci tante cose. Giovanni, che come illuminazione sta molto meglio di me, decide di correre indietro ad avvertire gli altri e a prelevare i materiali che sono rimasti un po' indietro. Non abbiamo corde lunghe con noi, ma pazienza, uniremo con dei nodi quelle che abbiamo. Attendo, studiando intanto il modo di effettuare un attacco per la discesa , ma non passa una mezz'ora da quando Giovanni è partito, che incomincio a sentire un sordo rumore sempre crescente, fino a trasformarsi rapidamente in un vero e proprio boato: la piena!

     Nel pozzo si riversa una valanga d'acqua e penso agli effetti di una nostra discesa se fossimo arrivati un po' prima! Per fortuna l'acqua non mi raggiunge, poiché mi trovo in un cunicolo fossile sito molto in alto rispetto al torrente, ma le gallerie che ho alle spalle saranno senz'altro impraticabili con una piena del genere. Passano infatti almeno due ore prima che Giovanni possa tornare da me, essendosi la piena calmata un po', e lo vedo arrivare bagnato fradicio. La situazione è critica, mi dice, nei pozzi a risalire c'è da lavarsi completamente; quanto a scendere il grande salto inesplorato, non se ne parla neppure, visto il finimondo che vi si scatena dentro. L'unica cosa furba da fare è una sana ritirata. La risalita avviene in fretta e allegramente, e verso le 10 di domenica (ventun ore dalla nostra entrata) siamo fuori.

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     Quella da noi esplorata in parte è secondo me una delle più promettenti diramazioni del Fighiera (pur non portandosi né in direzione del Corchia e né dell'Uomo Selvatico), visto che in quella zona lo spessore di calcare è di circa 1500 metri. Presumibilmente si tratterà di un abisso a sé stante molto profondo, cosa che appureremo presto con la discesa del pozzone.

Danilo Coral

 

     Per la storia delle esplorazioni, mancano le relazioni relative al ramo dello Gnomo (che scende per ora a -725 e che ha un torrente abbastanza cospicuo), al collegamento del ramo delle Ludrie con una grossa galleria che arriva alla base del pozzo dell'Asino che raglia, ed altre ancora, che verranno pubblicate sul prossimo numero.

 

(N.d.R.)

 

 

 

balma di rio martino, ...che sorpresa

     Dieci anni esatti sono trascorsi da quando trovai per la prima volta il nuovo ramo di Rio Martino di cui si è iniziata ora l'esplorazione.

     Tutto cominciò quando nel marzo 1967, portando gli allievi del Corso a Rio Martino, incontrammo i Saluzzesi. Chiacchierando con loro venni a sapere che avevano fatto un campo in grotta presso la sommità del salone del Pissai; io che non vi ero mai stato, quella volta volli fare una

puntata, durante il giro con gli allievi, per vedere il passaggio che portava sopra il salone. Visto il tutto, mi ripromisi di tornarci per andare a ficcare il naso.

     Esattamente il 2 aprile 1967 vi andammo, Maurizio Sonnino, Carlo Clerici, Dario Pecorini ed io. Arrampicai sul fango, attraversai e arrivai sulla cengia, e vidi la galleria dove avevano soggiornato i Saluzzesi. Scesi sul bordo della cengia, davanti a me si apriva il buco che dà sul salone e dall'altra parte, un dieci metri più in basso, vedevo le luci degli altri, da dove ero partito. Mi guardai in giro e con colpo di fiuto scovai un buco nella parete, un bellissimo condotto lungo una ventina di metri, portava sul fondo di un pozzo ascendente, e qui mi fermai e tornai indietro. In questi dieci anni parecchi sono andati a cercare questo condotto, senza mai trovarlo. Era quasi un mito...

     Marzo 1977. Con Lele, Robertino e gli allievi del Corso rimettevo piede nel condotto. Davanti a me vi erano soltanto le mie impronte di dieci anni prima. Il seguito è storia recente e ve la racconterà Lele.

John Toninelli

 

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     E' proprio vero che le grotte più frequentate sono quelle che ci riserbano più sorprese.

     Da che John Toninelli, un venerdì sera, durante la spiegazione del percorso sotterraneo del Rio Martino, agli allievi del corso di quest'anno, mi descrisse un passaggio che egli stesso dieci anni prima aveva raggiunto e che lasciava supporre buone possibilità di proseguimento, continuavo a lambiccarmi il cervello perdendomi in fantasie descrittive di un ramo della grotta che ancora non conoscevo.

     Finalmente giunse l'attesa domenica. John Toninelli, Roberto Parri ed io spalleggiati da una squadra di cinque Zombies trotterellammo più o meno velocemente verso il punto descritto. Dopo alcune peripezie tra strettoie e camini nel passaggio dei Saluzzesi, sbucammo alla sommità.

     Percorrendo la via davanti a noi saremmo giunti alla tavola. John a quel punto riprese il respiro e si fumò la centocinquantunesima sigaretta della giornata; ultimato il rituale disse: "Ci siamo". Dietro di noi un forte stillicidio proveniente dalla volta della galleria, sembrava voler limitare la visuale, ancora dietro il buio e dopo il buio... Attenzione ma questo è un pozzo. Sì, mi rassicurò John, è la sommità della sala del Pissai, esattamente sessanta metri. A sinistra impossibile continuare, sulla destra un passaggio esposto su fango, era l'unica via consentita. Presa corda m'arrampicai sino in cima e mi disposi a far sicura a tutti quelli che venivano su; subito dopo fu la volta di un passaggio in spaccata sulla destra.

     Centocinquantadue e John si riposa.

     Tutti e otto su di un terrazzino.

     Proprio su di una estremità a destra del terrazzo, nascosto si apre il passaggio. Il cunicolo è percorribile a tratti in piedi ed in altri a carponi, ovunque regna il fango specialmente sotto gli stivali che si attaccano in modo inverosimile come una ventosa. Percorsi circa venti metri di cunicolo leggermente in salita, sbuchiamo alla base di un pozzo di forma ellittica valutato in seguito alto diciassette metri.

     Centocinquantatre e John rievoca il ramo dei Montoneros e decide di battezzare il pozzo con il nome di "Pozzo dei Tupamaros". Roberto riesce a trovare un passaggio che porta a una delle due finestre sovrastanti la base del pozzo. Salgo anch'io, in opposizione tra due pareti ricoperte di fango riusciamo ad arrivare alla seconda finestra. Cinque metri davanti a noi si apre un fronte di cascata percorso solo dall'acqua di caduta dovuta a stillicidio. Il problema ora è come passare dall'altra parte. Per poter ben valutare la situazione mi arrampico su una cresta di roccia sino a raggiungere un passaggio esposto di due metri, è l'unico punto praticabile ma occorrono degli spit per potersi sostenere durante l'attraversata. Sono le 3 post-meridiane di domenica 27 febbraio e per mancanza di materiali e di tempo, siamo costretti a interrompere l'esplorazione.

     Domenica 20 marzo ore 10,30, sono nuovamente a cavalcioni della cresta davanti al passaggio esposto. Con me sono presenti Dario Neirotti, Ro-

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berto Parri e Alberto Lupo. Proteso all'esterno con Dario che mi fa sicura riesco faticosamente a piantare uno spit; per sicurezza, mezzo metro prima, pianto un chiodo da roccia in una fessura e a questo assicuro la corda. Nel moschettone dello spit pratico un mezzo barcaiolo. Assicurato alla corda e puntando i piedi contro la parete mi sposto orizzontalmente, usando i moschettoni come maniglie, mentre Dario mi fa scivolare la corda di sicura... Ci sono, sono sul fronte di cascata.

     Rapidamente anche Dario passa.

     Dopo di che, mentre lui recupera i sacchi da punta contenenti i materiali, preparo l'armo per le scale piantando un altro spit.

     Stendiamo venti metri di scale e una corda di autosicura per far risalire il pozzo a Roberto e Alberto. In breve tempo siamo tutti in cima. Continuo l'esplorazione in testa con Dario che mi segue. Dopo il primo balzo del fronte di cascata la grotta continua con una serie di balzi a pendenza costante lungo un fronte di trenta metri.

     Giunti alla sommità del fronte di cascata, sulla sinistra si apre un passaggio. Attraverso una serie di piccoli saltini, superabili in libera, si arriva ad un meandrino a "S" che dà su una piccola saletta da cui si dipartono due rami, uno verso nord e l'altro in direzione ovest, entrambi in salita. Sulle pareti dei condotti che sono a pressione si possono notare formazioni di concrezioni eccentriche dovute alle correnti d'aria, in questo caso ascensionali.

     A questo punto ci dividiamo in due squadre. Dario e Alberto procedono verso ovest, mentre Roberto ed io procediamo verso nord; ci ritroveremo tutti e quattro esattamente fra un'ora alla saletta del bivio.

     Roberto ed io proseguiamo l'esplorazione. Attraverso uno stretto condotto a pressione risalito per circa dieci metri ci immettiamo in una saletta. Questa parte della grotta è fossile. La roccia calcarea tende a sfaldarsi ed in alcuni punti è addirittura marcia.

     Dei due rami che si dipartono da questa saletta, Roberto ed io prendiamo il ramo in salita seguendo sempre la corrente d'aria, sino ad arrivare in uno stretto cunicolo occluso in parte da terriccio, sabbia e grossi massi arrotondati di serpentino. A questo punto ci è impossibile proseguire; bisognerebbe disostruire il passaggio che fra l'altro si presenta franoso. Decidiamo quindi di ritornare al punto d'incontro e lì aspettare Dario e Alberto.

     Dario e Alberto arrivano dopo un quarto d'ora circa. Loro hanno percorso un trentacinque metri in un meandro molto stretto che in alcuni tratti assume la conformazione di una forra. Dopo aver superato un pozzetto di quattro metri, il condotto che pur continua sempre in salita, si restringe in modo tale che Dario per poter passare si trova costretto a spogliarsi. Comunque una volta superato il passaggio si presenta percorribile.

     Dai rilievi eseguiti risulta che si è raggiunta la quota 1655 m; la isoipsa corrispondente dell'esterno è a quota 1740, quindi in quel punto grava uno spessore di roccia calcarea di 85 m. Inoltre l'andamento del tratto ipogeo rilevato, ha orientamento sud-sudovest, tendente verso la sorgente di Pian Giasset a quota 2060 m.

Gabriele Marzano (Lele)

 

 

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tecniche

rilevando il fighiera

     Scrivo queste note per far conoscere le tecniche adottate per il rilievo del Fighiera, grotta (forse lo sapete già) di eccezionale complessità. E' la prima grotta così complessa con cui il GSP si trova a litigare e può essere interessante render note le tecniche adottate per batterla.

     Era emersa fin dalle primissime discese la necessità di rilevare tutto quello che si esplorava mentre si esplorava, dato che partire da Torino e scendere solo per andare a misurare zone già esplorate sarebbe stata un'angoscia oltre che un vergognoso spreco di forze. Soprattutto poi occorreva continuamente sapere le "tendenze" delle gallerie rispetto alla montagna per realizzare esplorazioni per quanto possibile ordinate.

     Personalmente ho potuto rilevare esplorando con la tecnica, insegnatami dai francesi, di non fare disegni ma solo tracciare una poligonale molto precisa (su puntate lunghe misurando pendenza, poi direzione, poi di nuovo pendenza, poi direzione e prendendo la media) e le dimensioni della galleria ai capisaldi. A3 B2 D4 S2 significa che è a tre metri dal soffitto, due dal pavimento, la parete destra è a quattro metri e la sinistra a due. Alto 1,5 largo 0,8 è invece il dato nella situazione di gallerie piccole e in cui poco importa la posizione delle pareti rispetto al caposaldo perché, in ogni modo, sul disegno in scala normale le misure A B D S non riuscirebbero ad essere significative. Disegni vengono fatti solo se fra i capisaldi la galleria ha qualche particolarità molto notevole.

     I disegni li ho poi fatti convertendo col calcolatorino (un Texas SR 51) le coordinate da polari a cartesiane e riferendo ogni punto non al precedente ma a quello iniziale, eliminando così gli errori di disegno.

     Ripeto poi, per l'ennesima volta, che si devono evitare le misure delle grotte in cui non venga riportato, insieme alla profondità, anche l'errore calcolato su questa. Dire che una grotta ha una profondità di 574 metri è una buffonata: un dato del genere dà implicito un errore di un metro e voglio proprio vedere il rilevatore che riesce a stare in errori dello 0,2% e non in errori almeno dieci volte maggiori: ed in tal caso cosa ci fa quel "quattro" in fondo al dato se ci son almeno dieci metri di errore? Ci si pavoneggia tanto con la speleologia "scientifica" e poi si fan delle pagliacciate del genere.

     L'errore dipende naturalmente dal tipo di grotta. Prima o poi scriverò un articolo al riguardo.

 

 

Giovanni Badino

 

 

 

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Attività di campagna

1 gennaio. Arma Pollera (Finale L.): Parri e Rayneri.

2 gennaio. Grotta sup. dei Dossi. P. Arietti .

6 genn. Zona della Balma. Disostruzione di buco soffiante: G. Baldracco e M. Vigna.

7 genn. Grotta di Bossea. G. Villa a far foto con Arietti, De Regibus, G. Deker, Marzano, Marco, Pecorini, Pautasso, Parri.

8-9 genn. Zona della Balma. G. Baldracco, Bellone, Cazzola (SCT), Doppioni, A.Gobetti, Oliaro, Vigna. Trovato altro buco soffiante. Disostruzioni. Un pozzo viene aperto, ma dopo 9 m finisce.

8-9 genn., Badino è sceso con i Perugini nella grotta di Monte Cucco.

16 genn. Grotta dei Saraceni (Ottiglio Monf.). Foto: Arietti, Villa, Marzano e amici.

28 genn. Grotte del Caudano, prima uscita del 20° Corso di speleologia, con 41 allievi. Istruttori: Arietti, Badino, Bajardi, Coral, Doppioni, Garelli, Gobetti, Longhetto, Perello, Vigna, Villa, Toninelli.

13 febb. Grotta di Bossea, seconda uscita del Corso. Istruttori: Badino, Bajardi, Doppioni, Garelli, Gobetti, Longhetto, Sonnino e Villa, con 35 allievi.

27 febb. Balma di Rio Martino. Esplorazione di. un ramo nuovo: Marzano, Parri e Toninelli (v. articolo su questo numero).

27 febb. Balma di Rio Martino, 3^ uscita del Corso. Istruttori: Badino, Coral, Doppioni, Gobetti, Longhetto, Parri, Sonnino, Toninelli , Villa.

27 febb. Borna del Pugnetto. Visita da parte di Arietti, che proporrebbe di esaminare la possibilità di ripulire la grotta, ridotta a un immondiziaio.

7 marzo. Omber (Brescia). Operazione di soccorso: partec. del GSP Badino, Baldracco, Coral, Doppioni, Longhetto, Oliaro, Perello, Vigna, Villa.

13 marzo. 4^ uscita del Corso, alla grotta delle Vene. Istruttori: Badino, Doppioni, Garelli, Gobetti, Longhetto, Sonnino, Toninelli, Villa.

20 marzo. Balma di Rio Martino. Lupo, Marzano, Neirotti e Parri. Trovato un nuovo ramo, circa 400 m di gallerie con strettoie; arrivati circa 100 metri sopra la sommità della Sala del Pissai (v. articolo).

20 marzo. Abisso delle Tre Crocette (Varese). Coral, Coppa e Lorenzati.

19-20 marzo. Abisso Fighiera. Badino, G. Baldracco e Vigna, con G. C. Ardui no e speleologi del GS Faentino. Esplorato e rilevato il ramo delle Ludrie e studiate le correnti d'aria.

26-27 marzo. Abisso Fighiera. Badino, G. Baldracco, Doppioni con Lucien, Doppioni ed altri. Passato il Meins, arrivati a -480.

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27 marzo. 5^ uscita del Corso, a squadre separate. Coral, Martinotti, Miniscalco, Villa più Enzo di Mondovì, con 5 allievi all'Abisso dell'Artesinera. Longhetto e Vigna con 5 allievi all'Orso di Pamparato. Sonnino, Toninelli e Giordano con 9 allievi all'Arma dei Grai.

3 aprile. Balma di Rio Martino. Coral, Coppa, Marzano, Parri, Pautasso. Rilievo (Marzano, Parri e Pautasso) della parte esplorata il 20 marzo.

10 aprile. Battute sul M. Corchia (Levigliani, MS) ecc. G. e L. Baldracco, Arduino, Cazzola, Doppioni. Longhetto, Sonnino, Alex e Yvette del CMS ed altri.

10-11 aprile. Antro del Corchia (Levigliani, MS). Fino a -300 Coppa, Giagnorio, Parri, Suarez e Villa, con scopi fotografici. Proseguiti verso il fondo Coral, Marzano e Orsetti, ma un incidente per caduta da 3 m di Marzano li arresta a -580, da dove escono con il ferito in circa 13 ore. Allo Gnomo Badino, Cazzola e Vigna con il GS Faentino.

16 aprile. Boira d'l Fulatun (Urbiano di Mompantero, TO). G. Gianelli, A. Giagnorio, G. Villa.

16-17 aprile. Abisso Fighiera. Badino, Baldracco, Arduino, Cazzola, Vigna con speleologi CMS e GS Faentino CAI ENAL. Arrivati a -380 nel Corno destro (Cazzola, Vigna, Alex e Paolo di Faenza) e continua; scesi a -580 (continua su un pozzo da 30) nel ramo dello Gnomo (GSF); toccati i -630 nella zona del Meins (Arduino, Badino, Baldracco, Farolfi, Lucien, Dany e un altro francese). Preparato il ramo del grande pozzo per attaccarlo la prossima volta. In totale rilevati sinora 4,5 km dell'abisso.

24-25 aprile. Abisso Fighiera. Badino con Farolfi GSF e 3 perugini a vedere la finestra nella zona. del Meins. Longhetto e Villa a far foto. Coral, Marzano, Parri, Orsetti e Roberto di Pietrasanta e 2 perugini andati nel Corno destro da -380 in giù: sceso un pozzo nuovo di 35-40 m, saltini su torrente lungo una forra, e arrivati a strettoia (-490÷500) ove si infila l'acqua; trovata una galleria nuova.

24-25 apr. Battute sul versante nord del Corchia, trovando pozzetti stoppi, un pozzo che continua a -60 e uno sui 30 m non disceso. G. Baldracco, L. Baldracco (il 25), Cazzola, Sonnino, Margherita (il 24). Argnani del GSF.

30 aprile. Purtüs d' Cjape (Vicoforte Mondovì, CN). M. Vigna.

30 apr.- 1 maggio. Discesa una cavità (stoppa) sul Corchia; Arduino. Baldracco e altri.

 

 

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e anche questo corso è terminato

(Qualche nota sul 20° corso di Speleologia 1977)

     Premetto che non azzarderò previsioni sul numero delle nuove leve che voteranno il loro tempo libero (e magari qualcosa di più!) alla speleologia, come si tende a fare di solito ogni anno in queste pagine non appena terminato il Corso; mi limiterò a ricordare i criteri con i quali è stato voluto, organizzato e tirato avanti questo 20° Corso.

     Innanzitutto (ricordo uno scambio di opinioni con l'Andrea quest'estate tra una puntura di zanzara e una bustina di Nescafè in zona Alfa) si è pensato di tornare un po', per così dire, alle origini, almeno per quel che riguarda le tecniche di risalita durante le uscite del Corso in grotte verticali: stabilito che avremmo fucilato chiunque degli istruttori avesse inculcato idee "strane" nei giovani, a base di Jumar e attrezzi similari, siamo riusciti a non prevaricare dai limiti che ci eravamo imposti. Questo per preparare più a fondo i giovani, iniziando dalle tecniche sulle scalette che sono molto formative, senza oltretutto impegnarli subito in onerosi acquisti di attrezzi. Penso, infatti, che una buona pratica sulle scalette, anche se questa tecnica è oggi per lo più superata, sia l'ideale per abituare a un miglior senso dell'equilibrio e a un più sapiente dosaggio delle proprie forze più di quanto non si possa ottenere con l'esercizio su sola corda. Fondamentale è stato l'avere avuto a disposizione praticamente senza limiti di tempo la palestra dei Cappuccini e l'avere organizzato un paio di uscite alla Sacra di S. Michele dove i giovani si sono potuti cimentare con verticali di una trentina di metri in scalette. Questo per preparare alle uscite più impegnati ve.

     Per quanto riguarda le lezioni teoriche, avevo pensato di ciclostilare delle dispense lezione per lezione da distribuire; purtroppo, a causa della mancata disponibilità del ciclostile, sono state distribuite solo le dispense delle prime due lezioni. Comunque il ciclostile sarà disponibile prossimamente.

     Di estremamente positivo c'è da notare, in concomitanza con la conclusione del Corso, la ripresa dopo vari anni dell'Operazione Piemonte Sotterraneo, attività che potrà impegnare proficuamente anche coloro che non abbiano aspirazioni di "recordmen" o "pozzomani", permettendo loro di lavorare in maniera costruttiva nel Gruppo.

Giuliano Villa

 

Le impressioni di un ex allievo

     Completamente all'oscuro di ciò che volesse dire realmente la parola speleologia, o cosa fosse fare speleologia (già, perché le grotte sono tutte bellissime e comodissime, tipo Castellana!), ho deciso di iscrivermi al 20° Corso di speleologia del GSP, attratto da sempre da tutto ciò che è natura, e più ancora dal mondo ipogeo.

     Inizio così a conoscere "gli speleologi!". Infatti alla prima lezione (che parolone) Andrea Gobetti ci parla di tante cose, divaga di qua e di là, ed infine ci parla di un "Mucchio selvaggio", non quello cinematografico, s'intende!

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     Poi, uscita dopo uscita, settimana dopo settimana, incomincio ad apprezzare ed ammirare l'ambiente in cui, quasi per caso, sono venuto a trovarmi. Intuisco così l'appartenenza ad un segno zodiacale di acqua di Giuliano Villa, durante la prima (e choccante) uscita al Caudano! Poi posso ammirare la grande mole di lavoro svolto come istruttore da Piergiorgio Doppioni nelle uscite di Bossea e Rio Martino. Fa piacere ad un novellino poter contare sicuramente sull'esperienza e sull'aiuto degli altri: nondimeno il constatare che, benché lo spirito sia quello del "Mucchio Selvaggio", le cose sono fatte bene e sul serio. Ahimè, le scalette di Bossea: quei 17 metri, nel discenderli, sono stati un'agonia per le braccia, devo aver sbagliato qualcosa! Poi la impegnativa (per me) ma entusiasmante uscita di Rio Martino, con l'intera via dei Saluzzesi fino alla Saletta Rossa. Quindi ho conosciuto la prudente e amichevole serietà di Uccio Garelli, che ci ha accompagnati su e giù per la grotta delle Vene. E lo stesso giorno la pazienza (mica tanta!) di Maurizio Sonnino e di Paolo Arietti, che tentavano disperatamente di farci capire come cavolo si facesse un rilievo. Ed infine la fantastica generosità di John Toninelli: patè di fegato d'oca, prosciutto ed olive! Semplicemente, all'ultima uscita all'Arma dei Grai, mi era successo di aver dimenticato i viveri in macchina.

     Questo in breve il mio corso di speleologia. Forse avrei desiderato un'impronta maggiormente pratica. Quanti dubbi (che le lezioni teoriche stesse mi avevano proposto...) mi permangono! Come armare un pozzetto, come e dove legare una corda, corre e dove piantare uno spit, ecc. Ma se il Corso è finito, sicuramente avremo modo di impratichirci maggiormente poco alla volta, seguendo timidamente i nostri "maestri"!

     E per concludere, alcune parole di Adalberto Longhetto, detteci durante l'ultima lezione teorica: "continuate, a qualunque livello voi facciate speleologia, continuate". Ed io continuerò. Perché la speleologia è tenacia, è forza di volontà. Ma è anche meritato premio e soddisfazione il vedere cose che pochi altri hanno potuto ammirare. Speleologia è avventura, è imprevisto, è evadere dalla banalità di tutti i giorni.

     Domani andrò alla facilissima Borna del Pugnetto nelle valli di Lanzo. Gli altri (i maestri...) forse saranno al Fighiera! Calma e pazienza, al Fighiera ci arriverò anch'io.

Giovanni Gili

 

 

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Pubblicazioni ricevute

a cura di Giuliano Villa

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F. URBANI - Espeleologia fisica. Opalo y Calcedonia y Calcita en la cueva del Cerro Autana (Amazonas -Venezuela). Estr. Boll. SVE 7(14).

-

F. URBANI - Noticiero espeleologico. Comentarios generales y estada ac tual de 105 estudios de las formas carsicas de las cuarcitas del grupo Roraima. Estr. Boll. SVE 7(14).

-

S.V.E. Catalogo espeleologico de la provincia de Barcelona. III.

-

- G.C. CORTEMIGLIA e R. TERRANOVA - Le frane della collina delle Grazie nel comune di Chiavari e loro rapporti con la viabilità e gli insediamenti. Estr. Boll. Soc. Geol. It. 1970.

-

A. DAL CORSO e F. DE ANGELI - Due nuove caverne del massiccio del M. Grappa. Estr. Boll. Soc. Veneziana di Sc. Nat. 1976.

-

M. SINIBALDI e R. VANNUCCHI - Tre nuovi pozzi del massiccio del M. Grappa. Estr. Boll. Soc. Veneziana di Sc. Nat. 1976.

-

A. PICIOCCHI e P. UTILI - La speleoterapia nella grotta Giusti di Monsummano Terme. Napoli 1976.

-

G. CANCIAN - Il Carso monfalconese: litostratigrafia, tettonica, speleomorfologia e speleogenesi. Estr. Le Grotte d'Italia, Bologna 1976.

-

G.C. CORTEMIGLIA - R.TERRANOVA - A.GANDINI - Caratteri meteomarini della Baia Ezcurra nella King George Island (South Shetland Antartide). Estr. "Il Polo" n .4 1976.

-

U.I.S. - Proceedings international Symposium cave biology and cave paleontology. Oudshoorn -South Africa 1975.

-

T. TOMMASINI - Osservazioni meteoriche eseguite nel 1976 (Grotta Gigan te Trieste).

 

 

PERIODICI

NSS News - ag., ott. e nov. 1976, genn,. 1977.

UIS BULL. 1976

SPELUNCA n. 3 1976 (di particolarmente interessante in questo numero c'è uno studio sulle relazioni tra le forme carsiche di superficie e sotterranee nelle regioni carsiche. Inoltre, da parte del C.M,S. un compendio della monografia che il gruppo francese ha pubblicato nel 1976).

STALATTITE (G.G. SCHIO), X, 1974/75 (Una curiosità: il "discensore universale, un attrezzo in grado di funzionare sia come discensore che come autobloccante per la risalita su sola corda; peccato che la sua produzione sia ancora a livello artigianale).

MITTEILUNGEN n. 3 1976, n. 4 1976.

BOLLETTINO DEL G.S. IMPERIESE CAI, VI, n.7 1976 (relazione sui lavori al

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Mongioie e in particolare sulla congiunzione tra la grotta C1 e la risorgenza del Regioso; tutto il complesso è profondo -304 e sviluppa 4,5 km. Inoltre si hanno notizie sulla scoperta di un nuovo abisso, al Bocchin dell'Aseo, denominato i "Caprosci", dove gli amici di Imperia sono fermi a -240: continua; ovviamente tengono ben celate le coordinate dell'abisso!).

GIORNALE VE L'ALPINISTA, VIII n. 8 1976.

DIE HÖHLE n. 1, 2, 3 - 1976

NATURA ALPINA n. 9, 10 - 1977

GRUPPO SPELEOLOGICO VITTORIO VENETO - Relazione attività 1976

BCRA. Bull. n. 14 1976, n. 15 1976

THE NSS BULL. volI. 38 n. 4 (Relazione sul carsismo negli stati di Indiana e Kentuky).

CNSA Boll. Trieste n. 5 1976

DER SCHAZ n. 20 1976

SPELEOLOGIE n. 92 (Relazione sull'incidente al Cappa; relazione sul campo estivo al Marguareis). N. 93 (Relazione sulla spedizione in Turchia del Club Martel).

SSI NOTIZIARIO n. 6 1976 (Programma del IV Corso Nazionale residenziale di tecniche applicate alla speleologia, organizzato dal gruppo di Cuneo e dal gruppo di Genova; in questo numero, inoltre, è pubblicato il censimento dei biospeleologi italiani).

SSI NOTIZIARIO n. 5 1976

GROTTAN Dic. 1976 n. 4

SOTTOTERRA n. 44 XV 1976 (Considerazioni morfogenetiche sulla Buca del M. Pelato; riepilogo su tutto quanto si sa nei riguardi del Proteo).

SPELEOS n. 79 1976

BOLLETTINO GRUPPO SPELEOLOGICO SASSARESE n. 2 1976

GROTTES ET GOUFFRES n. 60 1976 (in questo numero della rivista francese compare un articolo di C. Chabert sulle grandi cavità della Grecia).

SPELEOLOGICAL ABSTRACTS n. 14

STALACTITE n. 2 1976

PRO NATURA NOTIZIARIO, n. 1 ,2 e 3 del 1977

NOTIZIARIO DEL CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO XXI n. 1 1976 (Nota sulla speleologia in Portogallo).

BULL. SOCIEDAD VENEZOLANA DE ESPELEOLOGIA, vol. 7 n. 13 1976 (Nota sullo pseudocarsismo in Sud Africa; note preliminari sulla geologia dell'altipiano di Sarisarinama e genesi delle cavità nella quarzite; una ricerca sui sacrifici umani nelle grotte di Cuba; infine la relazione della spedizione polacca-venezuelana alla meseta di Sarisarinama, avvenuta nel '76. Questo numero comprende inoltre un aggiornamento del Catasto delle grotte del Venezuela).

ESCURSIONISMO (F.I.E.) n. 4 XXVII 1976 (Sarebbe un peccato non riportare uno stralcio di un articoletto riguardante l'attività speleologica della

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Federazione Italiana Escursionismo, in particolare l'allestimento di uno stand di carattere speleologico in cui viene riprodotto "dal vero l'ambiente ipogeo con i plastici di cartapesta e i pipistrelli in modo tale che per corrente di aria si muovevano leggermente, dando la parvenza che fossero vivi e veri!". No comment....).

MONDO ARCHEOLOGICO n.8 1976 (generalmente questo periodico tratta molto marginalmente e sempre a livello di curiosità argomenti di carattere speleologico. quindi da parte nostra c'è poco da dire anche se ci è stata richiesta una recensione) .

SPELEORAMA (S.C. Ribaldone) 1976 - (In questo numero c'è uno studio sugli errori di misurazione nei rilievi topografici in grotta).

SPELEOLOGIA SARDA n.19 1976 (Per la serie "Sardegna Archeologica il capitolo che tratta il periodo neolitico; si conclude poi lo studio sulla flora cavernicola con il capitolo riguardante le alghe). N. 20 (per la serie di cui sopra: l'età del rame). N. 21 1976 (Sardegna Archeologica: la cultura del Vaso campaniforme in Sardegna, aggiornamento del catasto sardo).

S.C.T. NOTIZIARIO n° 1 1977 (Non è stato un anno di grande attività evidentemente per gli amici astigiani, a parte il lavoro in comune con i bresciani in particolare all'Omber, la grotta sul Lago di Garda giunta alla popolarità a causa del noto incidente di marzo).

L'APPENNINO (CAI Rana) Sett./Ott. 1976, Nov /Dic. 1976.

CAI Sez. Napoli. Nov. 1976, nn. 1 e 2 1977

ESPELEOLEG ERE Oct. 1976 (Relazione su una spedizione alle Galapagos).

GRUPPO SPELEOLOGICO BOLZANETO, XI, Gen. 1977 (in questo numero Novelli fa il punto sui vari tipi di discensori; inoltre un ennesimo tentativo di definire una dieta ideale per lo speleologo e alcune osservazioni sull'"Hidromantes").